domenica 26 agosto 2012

Filmino delle vacanze.

E' tempo di partire. Sistemo le ultime cose. Gli stivali e la tuta per l'escursione sono a posto. Porto anche il casco: sarà utile. Le bombole di ossigeno per sicurezza. Metto dentro anche i guanti, che non si sa mai. (Salutare le popolazioni indigene che potrei trovare con mani guantate potrebbe sembrare razzista, ma non posso farci nulla: sono ipocondriaco.) Lo zaino che mi metto sulle spalle è pesantissimo. Tutta questione di entusiasmo. Quando sarò là, mi sembrerà di gran lunga più leggero. Sei volte, per la precisione. Porto anche il propellente nucleare, nel caso ci fossero zanzare. La bandiera... non dimentichiamo la bandiera. Ricontrollo tutto una seconda volta, pure una terza, che bisogna essere sicuri e precisi. Non siamo mica i sovietici, noi. Oh, cazzo... la telecamera! Non la posso scordare, anche se è di una tecnologia un po' arrettrata, mica l'ultimo modello, comprata in quello che qualcuno prima o poi chiamerà "Discount". Il filmino delle vacanze risulterà un po' mosso. Pazienza, dopotutto, fa parte del piano. Che abbiano già sistemato il modulo? Senza modulo non si può partire. Dannata burocrazia.

Uscendo, mia moglie mi urla qualcosa a riguardo della maglietta della salute, dei crateri (si starà riferenedo sicuramente alle crepe nel bagno) e sul fatto di usare le pattine per non lasciare impronte. Per la prima volta nella mia vita, riesco a non risponderle. Per la prima volta da quando siamo sposati, riesco a mostrarle il dito medio senza preoccuparmi che lei mi veda. Un piccolo passo per l'umanità, un grande passo per l'uomo.

Parto. Scruto l'oroscopo sul giornale appoggiato sul sedile passeggero. A suo dire, tutto dovrebbe andare per il verso giusto: ho la Luna in trigono.

venerdì 25 maggio 2012

Tremors.


Nella foto a fianco, una giovane vittima di scosse telluriche.



Il terremoto è un movimento oscillatorio o sussultorio che ricorda, per suono e vibrazioni, le gare di brontosauri che si svolgevano in antichità. Questo tipo di gare erano molto in voga fra l'uomo di Neanderthal, che agli estinti pachidermi sostituiva i più agili e accattivanti mammut. Il Palio di Siena ne è la sua naturale evoluzione, e le associazioni animaliste che vi si oppongono la sua più logica conseguenza. Le associazioni animaliste stesse accusano le scosse sismiche di uccidere cani e gatti provocando loro infarti improvvisi dovuti ad attacchi di panico. Le scosse sismiche di difendono con il vecchio adagio che recita che “è un lavoro sporco ma qualcuno deve pur farlo.”

Le scosse sismiche devono difendersi da un numero piuttosto elevato di associazioni, oltre a quelle animaliste. L'Associazione degli Affetti da Parkinson affermano che le scosse sismiche sono alla base del peggioramento delle loro condizioni. L'Associazione degli Amanti del Salto della Quaglia vi attribuiscono le troppe nascite indesiderate. L'Associazione dei Furbetti del Quartierino chiedono più impegno da parte delle scosse sismiche, per poter usufruire dei vantaggi della ricostruzione. Queste accuse piovono da ogni parte contro le incolpevoli scosse sismiche, ree di voler solamente sfamare le loro famiglie. Le uniche a supportare dette scosse sono le appartenenti all'Associazione delle Ninfomani, che ringraziano periodicamente le scosse sismiche per trasformare il mondo, di quando in quando, in un enorme vibro-massaggiatore.

Le scosse sismiche non sono da confondersi con le scosse telluriche, che si accompagnano con tutt'altro aggettivo.

Ciò che conta – e che spesso scordiamo – è prendere il lato positivo di ogni cosa. Non tutto ciò che ci accade di negativo e negativo del tutto. Prendete me, per esempio. Grazie al terremoto, anni fa ho imparato a ballare il Foxtrot. Il Foxtrot, essendo un ballo in quattro quarti fatto di spostamenti laterali, viene facilitato durante un terremoto di tipo oscillatorio. Il terremoto di tipo sussultorio aiuta invece l'headbanging durante un concerto heavy metal. Grazie al terremoto dell'Aquila, ho vinto il primo premio alla gara di ballo della Sagra del Castoro con l'Apprecchio ai Denti di Charleroi, in Belgio. Non smettero mai di ringraziare gli aquilani per essere nati all'Aquila e il terremoto dell'Aquila per aver dimostrato che noi italiani non sappiamo fare/prevedere/ricostruire un cazzo di niente. Né tanto meno sappiamo ballare il Foxtrot.

martedì 24 aprile 2012

Poco lucide impressioni di una satirica serata romana.

Scendo a Roma un sabato di questi. Per comodità, diremo sabato 21 aprile 2012. Sempre per comodità, diremo sabato scorso. Parto da Padova in un orario pomeridiano. Giusto per sincronizzare gli orologi, facciamo che erano circa le 14:57. Ricordate quest'orario, visto che è totalmente inutile. Intendo dire che se anche lo dimenticate, non succede nulla: i Maya non hanno previsto nulla per sabato 21 aprile alle ore 14:57 - ed infatti nulla è accaduto.

(Evito di far partire una invettiva sulla discriminazione dei cosiddetti giorni apocalittici. Diciamo che ci sono giorni che godono di un'importanza maggiore di altri. Alcuni finiscono su Voyager, altri no. Facciamocene una ragione.)

Appena il treno esce dalla mia odiatissima città patavina, il cielo si fa improvvisamente plumbeo. Speriamo che non piova visto che per l'ennesima volta non ho portato con me l'ombrello: la Vodafone mi chiama informandomi che ho vinto 1000 messaggi gratis e 1000 minuti gratis di chiamata per la mia millesima dimenticanza consecutiva in un anno. Sono sbalordito: non ricordavo di aver attivato la tariffa Vodafone Idiot. Due gocce sul finestrino poco prima dell'arrivo a Bologna e io che me le prendo violentemente con la prima divinità cristiana che mi capita a tiro. Una divinità femminile. Che vende il proprio corpo.

Arrivo a Roma in perfetto ritardo: 18:23 invece di 18:14. Il Freccia Argento è un mezzo strepitoso: nato per abbreviare i tempi di percorrenza delle lunghe tratte, finisce per aumentare i minuti di ritardo sull'orario previsto. Ci vuole classe. Appena scendo alla fermata della metro, ho un obiettivo importantissimo, paragonabile alla soddisfazione del primo uomo che ha messo piede sulla Luna e a quella del primo che ha scalato l'Everest: accendermi una sigaretta.

Faccio una telefonata.
"Sono al Colosseo. Come ci arrivo lì?"
"Vai dritto, vai a destra, poi dritto, poi sinistra, poi..."
"Tranquillo, ho tutto in testa."

Sì, una testa di cazzo, visto che nel tragitto mi perdo quattro volte per altrettante richieste di indicazioni ai passanti. Me la prendo con la prima divinità cattolica che mi passa a tiro. Una divinità onnipresente. Che grugnisce nel trugolo. Alla fine, riesco a giungere a Campo dei Fiori. Dove non ci sono fiori. Valli a capire sti romani. Bizzarri come noi veneti, ma meno tonti.

(Nel tragitto, scorgo le bellezze romane: bionde more tettone... No, cioè: il Colosseo, i Fori Imperiali, la Bocca della Verità. Bella Roma, niente da dire, proprio bella, però... un cazzo di cartello con scritto "Campo dei Fiori" no, eh?! Anche piccolo. Pure una freccia con scritto "Andrea, coglione, per di qua!" mi andava bene. Niente. Eccheccazzo, direbbe Zaratustra.)

La faccio breve.
Finito.

Sì, insomma, non così breve magari.

Un paio d'ore dopo sono nella sala del Teatro dei Satiri, in prima fila, pronto a godermi "Bolle di Sapone. Esistenzialismo satirico da 4 soldi", il nuovo monologo satirico di Filippo Giardina. (Dite la verità: l'immagine lì in alto vi aveva dato un bell'indizio su dove volevo andare a parare, vero? Sappiate che sono uno che odia le sorprese. Soprattutto quando deve farle agli altri.)

Le luci si spengono, parte una musica.

Filippo Giardina entra in scena e parte il suo monologo. La prima cosa che mi stupisce è il suo modo di stare sul palco: sciolto, pienamente a suo agio, con una carica che quasi si sente nell'aria e con la forza di essere se stesso. Mi dico: un giorno sarò anch'io così. Con un'aggiunta di miopia e altezza . Dal palco, Filippo lancia argomenti scabrosi, espliciti, ribalta concetti con maestria. Gela una parte del pubblico con la spiegazione del titolo (non mi sfuggirà una parola al riguardo) e con un pezzo sul cancro privo di pudore. E a me fa sempre ridere, ridere forte: sia quando parla di cani, sia quando affronta argomenti tabù. Era da tempo che non ridevo così tanto di fronte ad un comico italiano. Alcune volte aggrotto la fronte e mi chiedo: ma dove sta andando a parare? Poi arriva la rivelazione - sotto forma di spunto comico - e la risata esce potente. La platea gradisce molto. Partono numerosi applausi. E con ragion veduta: Filippo si chiede se davvero possiamo dichiarare colpevoli i preti pedofili, se sia giusta la meritocrazia, se gli stipendi dei politici, in fondo, non sia più giusto alzarli che abbassarli. Sul come lo fa, eh no, miei cari, ve lo dovete andare a vedere. Sappiate solo che questo è il miglior spettacolo di stand up (noi la chiamiamo, con poca fantasia, satira) made in Italy che io abbia visto (dal vivo o sul web; non me ne vogliano gli altri). Il fondatore di Satiriasi - tranquilli, è sempre lui - non perde l'occasione di rinverdire l'importante regola di Lenny Bruce ("Io non sono migliore dei miei bersagli") ed infatti inserisce di quando in quando anche se stesso, in una sorta di catarsi satirica o forse semplicemente di autoconsapevolezza. (Una mia amica psicologa dire che "fa una ricerca a specchio del suo ego attraverso la forma catartica della risata". E poi farebbe un gioco di parole. Questa l'abbiamo capita in tre, ma pazienza.)

In definitiva, "Bolle di Sapone" è uno spettacolo satirico acuto, sorprendente, intelligente e divertente. Uno spettacolo che fa riflettere e ridere di gusto contemporaneamente, ed è senz'altro una gran cosa, nell'era dell'esaltazione dei vari Brignano, Crozza, Littizzetto e della loro banalità televisiva. In "Bolle di Sapone" la banalità resta fuori della porta del teatro che si chiude alle vostre spalle. Per un'ora e un quarto, dimenticatevela. Non vi serve. Lasciatela direttamente a casa.

Non starò qui a dire che è uno spettacolo per tutti - non a caso, campeggia la scritta V.M. 18 - ma neanche è uno spettacolo per tutti gli adulti. Si tratta di uno spettacolo per persone che non hanno paura di affrontare un comico che non tira indietro la gamba quando si tratta di parlare di tabù, di argomenti scabrosi, di tirare in ballo la sborra, la figa (o meglio, fregna, che siamo pur sempre a Roma), il cazzo, i pompini e tutto quanto fa esplicito nel linguaggio quotidiano. In fondo, Filippo Giardina parla come parliamo tutti nel nostro quotidiano, non come parla Fabio Fazio a Raitre. E ci aggiunge la sua satira iconoclasta e travolgente.

Per quanto mi riguarda, lo spettacolo mi ha fatto scoppiare dentro il fuoco sacro della creatività. La mattina seguente ho comprato un block notes in edicola e ho passato le oltre tre ore di treno del ritorno a scrivere a più non posso, in maniera radicale e senza freni, su: crisi, coprofagia, cadaveri e necrofilia, sesso, morte. Alcuni di quegli spunti sono buoni, altri da rivedere, altri totalmente da buttare. Ma nella mia testa, lo spettacolo di Filippo Giardina mi ha fatto scattare un interruttore della creatività. Non so come chiamarlo meglio di così; ma so che ne avevo fortemente bisogno.

Grazie, Filippo.

  

 

domenica 12 febbraio 2012

Morituri sunt.

Scrivo canzoni. Collaboro con Battisti da quando è morto. Lo faccio perchè mi ha dato particolarmente fastidio che Mogol abbia dichiarato che non collaborerà più con lui, dopo la sua dipartita. Questa è discriminazione nei confronti dei morti. Perchè un artista morto non può più lavorare? Da quando è deceduto, nessuno fa più recitare Vittorio Gassman. E pensare che, anche in decomposizione, oscurerebbe di gran lunga Fabio Volo! (Cristian De Sica ha dichiarato che, dopo morto, il suo sogno è quello di girare "Natale all'Inferno"; ma purtroppo per lui, Lucifero gli ha già negato la location.) Il campo artistico è lasciato a se stesso, senza regolamentazioni di nessun genere. Nessuno interviene in maniera netta per evitare le morti bianche in questo ambiente. Ricordiamo per esempio Amy Winehouse, morta di sincope da swing. E del tutto sottovalutate sono anche le malattie preofessionali legate all'ambiente: stress da party sfrenati, tendiniti da red carpet e crisi artistiche. Justin Bieber, ignorato dalla solidarietà, convive da anni con una dermatite da abuso di make-up.

Ma il caso che più sconcerta è quello relativo alla morte di Vasco Rossi. Ipocritamente, lo star business sorvola sul tragico evento e arriva addirittura a festeggiarne i sessantanni. Ma Vasco non è più tra noi. Il cantante di Zocca è morto nel 1999 e da allora è diventato un ectoplasma che infesta malignamente la musica italiana. Perchè a lui è concesso lavorare anche dopo la morte e a Battisti no? (Lo dico per pietà umana, non per calcolo opportunistico: vedere quella salma struggersi ogni giorno per non potersi esprimere, sbriciola il cuore. Il suo.) Non si può accettare questa disciriminazione! Esiste forse una casta anche nel mondo della musica? Una casta che ci obbligherà, un giorno, ad ascoltare Tiziano Ferro e Jovanotti anche dopo il loro funerale (che verrà tenuto segreto). Tutto questo non è accettabile. Lunga morte agli artisti morti e basta discriminazione!