martedì 24 aprile 2012

Poco lucide impressioni di una satirica serata romana.

Scendo a Roma un sabato di questi. Per comodità, diremo sabato 21 aprile 2012. Sempre per comodità, diremo sabato scorso. Parto da Padova in un orario pomeridiano. Giusto per sincronizzare gli orologi, facciamo che erano circa le 14:57. Ricordate quest'orario, visto che è totalmente inutile. Intendo dire che se anche lo dimenticate, non succede nulla: i Maya non hanno previsto nulla per sabato 21 aprile alle ore 14:57 - ed infatti nulla è accaduto.

(Evito di far partire una invettiva sulla discriminazione dei cosiddetti giorni apocalittici. Diciamo che ci sono giorni che godono di un'importanza maggiore di altri. Alcuni finiscono su Voyager, altri no. Facciamocene una ragione.)

Appena il treno esce dalla mia odiatissima città patavina, il cielo si fa improvvisamente plumbeo. Speriamo che non piova visto che per l'ennesima volta non ho portato con me l'ombrello: la Vodafone mi chiama informandomi che ho vinto 1000 messaggi gratis e 1000 minuti gratis di chiamata per la mia millesima dimenticanza consecutiva in un anno. Sono sbalordito: non ricordavo di aver attivato la tariffa Vodafone Idiot. Due gocce sul finestrino poco prima dell'arrivo a Bologna e io che me le prendo violentemente con la prima divinità cristiana che mi capita a tiro. Una divinità femminile. Che vende il proprio corpo.

Arrivo a Roma in perfetto ritardo: 18:23 invece di 18:14. Il Freccia Argento è un mezzo strepitoso: nato per abbreviare i tempi di percorrenza delle lunghe tratte, finisce per aumentare i minuti di ritardo sull'orario previsto. Ci vuole classe. Appena scendo alla fermata della metro, ho un obiettivo importantissimo, paragonabile alla soddisfazione del primo uomo che ha messo piede sulla Luna e a quella del primo che ha scalato l'Everest: accendermi una sigaretta.

Faccio una telefonata.
"Sono al Colosseo. Come ci arrivo lì?"
"Vai dritto, vai a destra, poi dritto, poi sinistra, poi..."
"Tranquillo, ho tutto in testa."

Sì, una testa di cazzo, visto che nel tragitto mi perdo quattro volte per altrettante richieste di indicazioni ai passanti. Me la prendo con la prima divinità cattolica che mi passa a tiro. Una divinità onnipresente. Che grugnisce nel trugolo. Alla fine, riesco a giungere a Campo dei Fiori. Dove non ci sono fiori. Valli a capire sti romani. Bizzarri come noi veneti, ma meno tonti.

(Nel tragitto, scorgo le bellezze romane: bionde more tettone... No, cioè: il Colosseo, i Fori Imperiali, la Bocca della Verità. Bella Roma, niente da dire, proprio bella, però... un cazzo di cartello con scritto "Campo dei Fiori" no, eh?! Anche piccolo. Pure una freccia con scritto "Andrea, coglione, per di qua!" mi andava bene. Niente. Eccheccazzo, direbbe Zaratustra.)

La faccio breve.
Finito.

Sì, insomma, non così breve magari.

Un paio d'ore dopo sono nella sala del Teatro dei Satiri, in prima fila, pronto a godermi "Bolle di Sapone. Esistenzialismo satirico da 4 soldi", il nuovo monologo satirico di Filippo Giardina. (Dite la verità: l'immagine lì in alto vi aveva dato un bell'indizio su dove volevo andare a parare, vero? Sappiate che sono uno che odia le sorprese. Soprattutto quando deve farle agli altri.)

Le luci si spengono, parte una musica.

Filippo Giardina entra in scena e parte il suo monologo. La prima cosa che mi stupisce è il suo modo di stare sul palco: sciolto, pienamente a suo agio, con una carica che quasi si sente nell'aria e con la forza di essere se stesso. Mi dico: un giorno sarò anch'io così. Con un'aggiunta di miopia e altezza . Dal palco, Filippo lancia argomenti scabrosi, espliciti, ribalta concetti con maestria. Gela una parte del pubblico con la spiegazione del titolo (non mi sfuggirà una parola al riguardo) e con un pezzo sul cancro privo di pudore. E a me fa sempre ridere, ridere forte: sia quando parla di cani, sia quando affronta argomenti tabù. Era da tempo che non ridevo così tanto di fronte ad un comico italiano. Alcune volte aggrotto la fronte e mi chiedo: ma dove sta andando a parare? Poi arriva la rivelazione - sotto forma di spunto comico - e la risata esce potente. La platea gradisce molto. Partono numerosi applausi. E con ragion veduta: Filippo si chiede se davvero possiamo dichiarare colpevoli i preti pedofili, se sia giusta la meritocrazia, se gli stipendi dei politici, in fondo, non sia più giusto alzarli che abbassarli. Sul come lo fa, eh no, miei cari, ve lo dovete andare a vedere. Sappiate solo che questo è il miglior spettacolo di stand up (noi la chiamiamo, con poca fantasia, satira) made in Italy che io abbia visto (dal vivo o sul web; non me ne vogliano gli altri). Il fondatore di Satiriasi - tranquilli, è sempre lui - non perde l'occasione di rinverdire l'importante regola di Lenny Bruce ("Io non sono migliore dei miei bersagli") ed infatti inserisce di quando in quando anche se stesso, in una sorta di catarsi satirica o forse semplicemente di autoconsapevolezza. (Una mia amica psicologa dire che "fa una ricerca a specchio del suo ego attraverso la forma catartica della risata". E poi farebbe un gioco di parole. Questa l'abbiamo capita in tre, ma pazienza.)

In definitiva, "Bolle di Sapone" è uno spettacolo satirico acuto, sorprendente, intelligente e divertente. Uno spettacolo che fa riflettere e ridere di gusto contemporaneamente, ed è senz'altro una gran cosa, nell'era dell'esaltazione dei vari Brignano, Crozza, Littizzetto e della loro banalità televisiva. In "Bolle di Sapone" la banalità resta fuori della porta del teatro che si chiude alle vostre spalle. Per un'ora e un quarto, dimenticatevela. Non vi serve. Lasciatela direttamente a casa.

Non starò qui a dire che è uno spettacolo per tutti - non a caso, campeggia la scritta V.M. 18 - ma neanche è uno spettacolo per tutti gli adulti. Si tratta di uno spettacolo per persone che non hanno paura di affrontare un comico che non tira indietro la gamba quando si tratta di parlare di tabù, di argomenti scabrosi, di tirare in ballo la sborra, la figa (o meglio, fregna, che siamo pur sempre a Roma), il cazzo, i pompini e tutto quanto fa esplicito nel linguaggio quotidiano. In fondo, Filippo Giardina parla come parliamo tutti nel nostro quotidiano, non come parla Fabio Fazio a Raitre. E ci aggiunge la sua satira iconoclasta e travolgente.

Per quanto mi riguarda, lo spettacolo mi ha fatto scoppiare dentro il fuoco sacro della creatività. La mattina seguente ho comprato un block notes in edicola e ho passato le oltre tre ore di treno del ritorno a scrivere a più non posso, in maniera radicale e senza freni, su: crisi, coprofagia, cadaveri e necrofilia, sesso, morte. Alcuni di quegli spunti sono buoni, altri da rivedere, altri totalmente da buttare. Ma nella mia testa, lo spettacolo di Filippo Giardina mi ha fatto scattare un interruttore della creatività. Non so come chiamarlo meglio di così; ma so che ne avevo fortemente bisogno.

Grazie, Filippo.